GUARDANDO AL DOPO-CORONAVIRUS
LA RESPONSABILITÀ DI CIASCUNO VERSO LA COMUNITÀ
È sempre più vicino il giorno in cui l’emergenza sarà alle nostre spalle. Allora dovremo decidere che cosa vorremo fare di quanto abbiamo imparato a livello nazionale, europeo, planetario. Facendo tesoro di alcuni insegnamenti
“Il Paese ha bisogno della responsabilità di ciascuno di noi, della responsabilità di 60 milioni di italiani che quotidianamente compiono piccoli grandi sacrifici. Per tutta la durata di questa emergenza. Siamo parte di una medesima comunità. Ogni individuo si sta giovando dei propri, ma anche degli altrui sacrifici. Questa è la forza del nostro Paese, una "comunità di individui" come direbbe Norbert Elias. Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore, per correre più veloci domani. Tutti insieme ce la faremo".
Con queste parole il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha chiuso il discorso in cui l’11 marzo ha annunciato al Paese la sospensione di tutte le attività non indispensabili , rinnovando l’appello a limitare ogni spostamento e a rimanere in casa per ridurre al minimo le possibilità di contagio per il coronavirus. Lo stesso giorno l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità – dichiarava lo stato di pandemia e la necessità di uno sforzo planetario per contenerla.
È una situazione che non ha precedenti nella storia della Repubblica: abbiamo fatto fronte, in 75 anni, a terremoti, alluvioni, incendi, frane, valanghe, tempeste che hanno devastato il nostro territorio. Perfino a un nemico come il fallout radioattivo di Cernobyl. E abbiamo affrontato anche emergenze sociali drammatiche, come quelle del terrorismo e della mafia. Ma tutto questo lo abbiamo sempre potuto fare assieme, fianco a fianco, dandoci concretamente la mano, abbracciandoci per esprimere gioia o cercare consolazione.
Quello che stiamo vivendo è invece qualcosa di assolutamente nuovo: una minaccia invisibile, che ci rimanda alle grandi epidemie del passato e che è resa estremamente veloce dalla globalizzazione dei movimenti, ci costringe a stare distanti l’uno dall’altro per farvi fronte. Non è una guerra, ne siamo tutti consapevoli: le nostre case non sono distrutte dalle bombe, i nostri supermercati e le nostre farmacie ci consentono di avere, con qualche precauzione, il cibo e il necessario per superare questo momento. Dopo il quale, io credo, se sapremo fare tesoro di questa esperienza, saremo davvero più forti di prima.
Ma in questa severa emergenza planetaria – nonostante qualche leader straniero e qualche politico nostrano, blaterando a vanvera, si siano affannati a negarne l’esistenza – non possiamo fingere di non sentire gli appelli alla responsabilità che arrivano da coloro che sono in prima linea negli ospedali, né ignorare il fatto che il ritorno alla normalità, fondamentale per la ripresa della vita sociale ed economica, dipende in maniera determinante dalle scelte di ciascuno di noi.
È sempre più vicino il giorno in cui tutto questo sarà alle nostre spalle. Sarà quello, in realtà, il momento più importante, perché dovremo decidere che cosa vorremo fare di quanto abbiamo imparato a livello nazionale, europeo, planetario. Facendo tesoro di alcuni insegnamenti.
IL BENE DI TUTTI
Primo: il bene di tutti si fonda sulla responsabilità di ciascuno. E tale responsabilità verso gli altri, che può comportare la rinuncia in tutto o in parte alla libertà personale, non è un’opzione, ma un dovere.
Sappiamo che in ogni società abbiamo a che fare con gli egoismi e la stupidità di molti; ma alla fine di questa esperienza sarà più chiaro a tutti che gli scriteriati che hanno volutamente ignorato i divieti per i motivi più futili non sono più furbi degli altri. E non sono la maggioranza.
Alla radice di questa responsabilità collettiva sta un insegnamento irrinunciabile: il bene di una comunità dipende dalle azioni dei singoli cittadini e i diritti fondamentali della persona vanno compresi sempre nell’orizzonte della comunità sociale e politica e in quello più ampio della famiglia umana.
La scuola, l’università, la cultura giocano oggi, e ancora maggiormente in futuro, un ruolo formativo fondamentale, aiutando a collocare le vicende umane all’interno dell’orizzonte ampio della storia e fornendo le categorie per comprenderle e interpretarle.
L’ALLOCAZIONE DELLE RISORSE
Secondo: la globalità della crisi pone il problema dell’allocazione delle risorse. Il tema è complesso, ma dopo questa crisi planetaria tutti dovranno rivedere la scala delle priorità e interrogarsi sulle gerarchie delle scelte economiche.
Si dovrà riflettere sulle opzioni politiche relative a settori cruciali come quelli della sanità, della ricerca e dell’industria farmaceutica, ma anche su quelli relativi ai beni primari.
Si dovrà smettere di ignorare a livello politico gli allarmi del mondo scientifico sulla crisi ambientale.
Non si potrà evitare di riflettere sul senso, in un mondo tanto interdipendente da essere globalmente costretto a far fronte alla stessa minaccia, di un’industria di morte come quella degli armamenti. E si dovrà pensare a quali forme di cooperazione economica internazionale andranno messe in atto per garantire il lavoro e proteggere i più deboli dalle speculazioni.
In tutto ciò sarà determinante la capacità dell’Europa di rimanere fedele a quei principi inderogabili di responsabilità per il bene comune e di solidarietà su cui essa si fonda.
LA COLLABORAZIONE A LIVELLO INTERNAZIONALE
Terzo: lo scambio di informazioni fra i laboratori di tutto il pianeta non è solo un modello di cooperazione scientifica. È dal mondo scientifico, dagli istituti di ricerca, dagli ospedali, dall’OMS che è uscito quel modello di cooperazione che ha permesso di far fronte più efficacemente a una crisi sanitaria globale.
Tale scambio di dati, materiali, risultati, competenze è un modello che non può più essere ignorato e c’è da chiedersi se la collaborazione scientifica non possa rappresentare un esempio anche per le relazioni internazionali.
È chiaro che le ricerche di laboratorio non sono sovrapponibili all’attività politica: diverse le finalità e diversa la pluralità di opzioni che caratterizzano la vita politica. Ma l’idea che tutti possano contribuire all’edificazione del bene comune della famiglia umana potrebbe diventare uno dei presupposti di quella riflessione che si imporrà a livello internazionale dopo questa crisi.
IL BISOGNO DI UNA COMUNITÀ PER VIVERE
Quarto: l’isolamento ci ha fatto sperimentare quanto abbiamo bisogno di una comunità per vivere. In questi giorni in casa ciò che pesa di più è la distanza fisica, il non potersi abbracciare, il dover mantenere la distanza perché ognuno di noi è un potenziale nemico. Una sensazione terribile, che abbiamo dovuto in fretta imparare, ma soprattutto una sensazione collettiva.
In questa strana forma di solidarietà per il bene di tutti, non si tratta di mantenere le distanze da un malato, ma di considerare che l’altro, che sia amico o sconosciuto, deve rimanere lontano.
Tutto questo rende enormemente più chiaro quanto in realtà siamo dipendenti, anche fisicamente, dalla prossimità e dalle relazioni buone, e amplifica la nostalgia per un momento nel quale potremo, ancora, senza timori, tenerci per mano, abbracciarci, stare seduti accanto, farci una carezza.
Tornerà il tempo degli abbracci: facciamo in modo che sia anche il tempo nel quale ripensare al senso della responsabilità e delle relazioni economiche e politiche.