Plastica che si accumula inesorabile

“ Cosa possiamo fare per correre ai ripari? Non esiste una sola e facile soluzione, ma più approcci da combinare insieme ”

Anche se esiste soltanto da poco più di mezzo secolo, la plastica pervade oggi le nostre vite ed è difficile pensare di poterne fare a meno senza ridurre la nostra qualità di vita. Ha impieghi tecnologici insostituibili nell’elettronica e nella meccanica, usi sanitari che hanno rivoluzionato le pratiche mediche e di prevenzione, e permette gesti solo apparentemente banali come quelli di mettere dell’acqua in una bottiglietta leggera, ermetica, sterile e a basso costo che ci può seguire ovunque.

La vita senza plastica era più difficile, più scomoda e offriva meno opportunità. Ma proprio la sua stabilità e inattaccabilità da parte di funghi, batteri e animali fa della plastica un materiale scomodo appena ha terminato l’uso per cui è stata progettata, spesso molto breve, come gli imballaggi. Così si accumula inesorabilmente nell’ambiente, anno dopo anno: sia in dimensioni percepibili dal nostro occhio, ovvero i rifiuti che deturpano il paesaggio, sia in microparticelle insidiose che pervadono i processi vitali, vengono mangiate dai pesci e ritornano segretamente nel nostro piatto sotto forma di composti tossici che minacciano la nostra salute.

Gli allarmi sulla zuppa di plastica che impesta tutti gli oceani del pianeta sono tanto continui quanto inascoltati, anche se in qualche caso clamorosi, come quando le autopsie di grandi pesci spiaggiati mettono in mostra macabri stomaci intasati da reti da pesca e cassette da frutta, accendini e cotton fioc, o allorché le tempeste accumulano sulle coste tonnellate di flaconi usati, sacchetti, scarpe e palline di polistirolo espanso: è accaduto a Mumbai dopo la mareggiata del 15 luglio 2018, con un Mare Arabico che sembrava aver rispedito al mittente tutte le sozzure che continuamente la megalopoli indiana vi butta dentro.

 

Ma dunque cosa possiamo fare per correre ai ripari? Non esiste una sola e facile soluzione, ma più approcci da combinare insieme.

Il primo è la leva fiscale: visto che la plastica abbandonata fa danni alla collettività, applichiamo una tassa all’acquisto, magari sotto forma di cauzione, restituita quando il vuoto viene reso a un circuito di corretto smaltimento.

Poi potenziamo i sistemi di raccolta differenziata a livello globale, pur sapendo che il riciclo della plastica non è facile: ne esistono tanti tipi, polietilene, polipropilene, polistirene, polivinilcloruro... se mischiati perdono le loro caratteristiche qualitative e in genere si degradano dopo alcuni passaggi, per cui alla fine vanno comunque inceneriti, il che non è un buon modo per smaltirli, poiché essendo derivati dal petrolio emettono gas serra e altri inquinanti.

Un’altra via importante è lavorare all’origine del rifiuto: da un lato la ricerca scientifica per ottenere plastiche biodegradabili, dall’altro un marketing meno aggressivo, che punti alla diffusione di valori di sobrietà, durevolezza e sostenibilità al posto del consumo usa e getta.

Vero che il gesto del consumatore finale è importante, ma la scelta di un prodotto con più o meno plastica non sempre è possibile, è fondamentale che sia la filiera a monte, insieme alla legislazione internazionale, a trovare soluzioni che riducano gli oggetti sintetici poco utili e ne facilitino la raccolta differenziata e la riciclabilità.